Basterà mantenersi affamati (secondo l'ormai celeberrima esortazione Stay hungry, stay foolish!) per saper cogliere quel che c'è di buono intorno a noi? Basterà quella ricerca costante, quel tenere gli occhi aperti, quel mantenersi sempre e comunque curiosi (da cur, in latino, la domanda del "perché?" tipica dei bambini) della vita e di tutto ciò che ha da offrire?
Certo, non c'è male già come punto di partenza.
Ci sono qui in gioco la curiosità, la passione, il desiderio di conoscere...; il non essere mai sazi di sapere - che aiuta a ricordare quanto sia grande il nostro non-sapere un po' socratico! La meraviglia, come capacità di meravigliarsi, più che stupore attonito puro e semplice...; ma, anche, il vero sbalordimento di chi sa stare a contemplare qualcosa di cui ancora non capisce niente, senza voltare lo sguardo, fuggire o serrare gli occhi per l'imbarazzo o la paura dell'ignoto. Tutto questo è molto.
Se non basta non è nel senso di una misura delle cose, bensì nel senso della qualità.
Curiosità, passione, meraviglia, desiderio fanno parte del gioco e ne fanno parte alla grande: solo che non sono tutto, come spesso accade nel mondo delle passioni. Il qualcosa in più che ci vuole per fare la differenza ha a che vedere con una parte razionale, che richiama - certamente - alla misura, alla temperanza, alla disciplina, ma non solo: richiama, e forse è ancora più importante, anche all'esercizio e alla semplicità nella sobrietà.
Vorrei soffermarmi con voi su questo: l'esercizio e la semplicità nella sobrietà nel senso di una "misura".
Certamente lo "sbocconcellare", il procedere "a piccoli passi", un passo per volta, uno-dopo-l'altro etc. è un ottimo esercizio (un po' zen-minimalista); invita alla temperanza, al non avere fretta, aiuta a procedere per gradi - che è l'ideale soprattutto se si segue un metodo di apprendimento consolidato, come le lezioni di un grande maestro o un buon corso o manuale "classico".
Non qualunque esercizio, però, è giusto per qualunque attività. Così c'è il momento in cui occorre un esercizio per la lentezza e il consolidamento e uno in cui occorre un esercizio per la velocità e il potenziamento. Il valore di un esercizio sta in almeno due aspetti diversi: l'adeguatezza per uno specifico risultato (il "fine" dell'esercizio), da un lato, e, dall'altro, il valore dell'esercitarsi stesso, cioè quell'arricchimento che ci deriva dal dedicarci ad una qualsiasi attività con metodo e costanza.
Se il secondo valore si può ricavare da qualunque "esercizio", anche se in grado diverso, il primo dipende proprio da ciò che si vuole ottenere e, in effetti, un esercizio inadeguato può non solo essere inutile, ma, peggio, ottenere un effetto opposto dal desiderato. Se per esempio vogliamo correre veloci, ma ci applichiamo in esercizi che affaticano il muscolo senza renderlo agile, potremmo peggiorare le nostre prestazioni e porci nella disposizione peggiore per un futuro miglioramento.
E' importante, dunque, che l'esercizio faccia al caso nostro. Se ci chiediamo come esercitare il nostro apprendimento, è importante che ci mettiamo nella disposizione di trovare il giusto esercizio.
Che dire della sobrietà e della semplicità? Una cosa non è facile solo perché sia semplice, nè difficile solo perché complicata. Può darsi che qualcosa che vorremmo fare non sia affatto complicato, però abbia qualcosa di difficile: è semplice, e tuttavia difficile: non complicato. Se comprendiamo che qualcosa non è complicato, non avremo bisogno di molti ragionamenti per affrontarlo: si tratterà di superare una difficoltà che non richiede ragionamento, ma, per esempio, messa in pratica. Può darsi che non riusciamo a capire un libro di biologia perché impiega delle formule matematiche con le quali non abbiamo familiarità: probabilmente non si tratta di matematica complicata - semplicemente, è matematica, mentre noi ci occupiamo di biologia. Il nostro problema, semplificato, non è quello di arrovellarci su complicate teorie su quell'argomento di biologia, bensì quello di chiarirci le idee sulla lettura di quelle astruse formule matematiche. Può darsi che possiamo farcele spiegare da qualcuno; può darsi che valga la pena di dedicare un momento di studio e di ricerca solo su quei passaggi. La difficoltà è nella qualità di una cosa specifica: è difficile, mentre non c'è niente di complicato.
Imparare a guardare le cose nei loro aspetti semplici può aiutarci a trovare il punto di partenza per capire quello che non capiamo. Ammettere, con sobrietà e senza complicazioni, che cosa sia ciò che non capiamo ci permette di concentrare la nostra attenzione; ci permette anche di riconoscere che ci sono altri aspetti nei quali non abbiamo problemi. Semplicità e sobrietà, in questo senso, ci aiutano a distinguere onestamente tra i nostri punti di forza e i nostri punti deboli.
Si, ma perchè "ruminare""?
Prima di tutto, perché lo fanno le mucche, e dalle mucche c'è da prendere esempio senz'altro in qualcosa.
Scherzi a parte. Un conto è mangiare piccole porzioni un po' per volta. Un altro è fare delle grandi abboffate indigeste. Ma un altro dicorso ancora è quello di immagazzinare una grande quantità di informazioni o nozioni, per poi tornare piano piano a rivederle - proprio come fa il ruminante, che assume grandi quantità di cibo, ma le digerisce a tappe e in più riprese, mooolto lentamente.
Se leggiamo molto, ascoltiamo molte lezioni o conferenze, studiamo tanto etc., può darsi che abbiamo a volte l'impressione di non andare avanti, di non assimilare niente - o non assimilare a sufficienza - di quello che "divoriamo".
Tuttavia a volte anche l'apprendimento a piccoli passi, solo un pochino per volta, può farci perdere la lena, demotivarci, darci la sensazione che la materia sia inconsistente, o dispersiva.
Tra l'"abboffo" e il minimalismo "zen", forse la "terza via" praticabile è proprio quella di un placido e concentrato "ruminare", che valorizzi l'assimilazione di grandi scorpacciate di sapere.
Come fare, fuor di metafora?
Prendiamo ad esempio un libro; ma il discorso vale anche per una conferenza, un corso in più lezioni, un articolo di blog etc.
Un libro può essere molto "ponderoso", un bel mattone di centinaia di pagine; può anche essere di poche decine di pagine, e tuttavia molto difficile, per esempio perché usa un lessico al quale non siamo abituati o nel quale non siamo competenti. Che fare? Il sistema della vorace abbuffata ci porterebbe a leggerlo rapidamente, senza capirci molto, per poi passare ad altro e dimenticarlo del tutto. Il metodo "minimal-zen" di fare un piccolo passo per volta ci direbbe di leggerne magari una sola pagina per volta, pur di essere sicuri di averne capito almeno qualcosa. Questo però potrebbe metterci nel grande imbarazzo di passare mesi e mesi su un solo libro, senza riuscire nemmeno a coglierne un senso vago.
La terza via, del ruminante, in questo caso ci suggerisce di leggere il libro comunque, andando avanti più o meno con il nostro solito ritmo, offrendoci così, per prima cosa, la soddisfazione di andare avanti nella lettura; inoltre, più importante, ci dà la possibilità di cominciare a cogliere qualcosa, cominciare a capire. Può darsi che una parola difficile cominci ad entrarci in mente, a darci un'idea del suo significato, fino a quando, andandola a verificare sul vocabolario o con una ricerca online, scopriamo quasi con sorpresa che avevamo già capito che cosa voleva dire. In questo modo difficilmente la dimenticheremo in futuro. Può darsi che progredendo nella lettura scopriamo che in effetti non è poi così astruso - per esempio alcuni capitoli e argomenti ci sono del tutto incomprensibili, mentre altri passaggi ci suonano familiari e pian piano ci aiutano a capire il resto. In questa situazione la lettura ci dà una percezione immediata della novità di ciò che incontriamo, un senso di esplorazione che spesso manca nella nostra quotidianità. La mente può vagare, esplorare, interrogarsi, e scoprire quante cose ci sono da capire, quante cose da conoscere. Può incuriosirsi e sollecitare la propria attenzione.
Questa è la parte dell'assunzione del materiale. In che cosa consiste la "ruminazione"? Man mano che si procede, o anche dopo che si è conclusa la lettura, si potrà ripartire, tenendo conto di un quadro complessivo che ci siamo già formati, andando a sbocconcellare e a riprendere a piccole porzioni ciò che già in parte abbiamo grossolanamente iniziato a smozzicare, assaggiare e masticare. Questo è ruminare. Può darsi che non abbiamo affatto bisogno di rileggere dieci volte il primo capitolo, ma piuttosto che ci accorgiamo che sono alcune parole che fanno fatica a entrarci in mente. Può darsi che ci serva un controllo sul vocabolario, oppure che ci chiariamo le idee su un argomento per il quale ci serve una breve introduzione di altro tipo. Se, per esempio, leggiamo un libro di storia della scienza nel quale si parla di Aristotele e Platone come se tutti li conoscessero, può darsi che quello che ci manca sia una lettura anche veloce, per esempio su Wikipedia, su ciò che grosso modo esprime il loro pensiero e la loro storia. Mentre riprendiamo lentamente qualcosa che non è più del tutto nuovo, ma di cui abbiamo già preso di punta alcuni aspetti, può darsi che capiamo da soli e senza troppa difficoltà di che tipo siano le nostre difficoltà.
Questo è proprio ciò che a volte perfino un buon maestro non è in grado di fare al posto nostro. Scoprire le proprie difficoltà fa parte del conoscere se stessi, non soltanto ma anche nell'apprendimento e nell'istruzione.
E' dunque un esercizio di valore, importante, un aspetto non indifferente dell'interesse che si può provare per lo studio, l'istruzione, l'informazione. Alla domanda "che cosa c'è da capire?" si accompagna dunque quella su "che cosa c'è che non capisco?" e questo è un passaggio non indifferente per un miglioramento di qualche genere.
Ecco, dunque, il senso dell'esercizio nel "ruminare" come atteggiamento pratico nell'apprendere: si tratta di ri-tornare via via sulla materia, ricorsivamente, a velocità e quantità variabili, dandoci la possibilità di saggiare e tarare il nostro passo. Si tratta di darci la possibilità di apprezzare sia la rapidità sia la lentezza, senza sceglierne a priori una ad esclusione dell'altra. La giusta misura può essere a volte quella del piccolo, a volte quella del grande; può essere quella fatta per la velocità, o, altre volte, per la lentezza. Correre avanti e basta può essere arrischiato: correre avanti per ritornare piano piano sui propri passi può essere l'approccio giusto per aiutarci a tarare il nostro passo, soprattutto quanto il nostro viaggio non consiste principalmente nel seguire una guida esperta, ma è una esplorazione un po' più solitaria, oppure in un gruppo di inesperti di pari livello. Siamo dunque affamati, follemente; ma, per digerire, mai dimenticare l'importanza, all'occasione, di saper ruminare.