martedì 27 aprile 2010

Imparare ricchezza!


Si può imparare ad essere ricco?

Qualcuno promette, come il gatto e la volpe di Pinocchio, "ti farò diventare ricco". Ma quello di cui ti parlo è diverso: qualcuno dice "ti insegnerò a diventare ricco". Ed è molto più onesto.

Si possono imparare tantissime cose, da semplici o sofisticate tecniche di finanza, a quello che riguarda un atteggiamento personale; si può imparare che ricchezza non è solo moneta, ma, piuttosto, "valore": si può scoprire quale ricchezza si cerca o si ha nella propria vita, etc.

So che lo sai già.

Ma sai viverlo, metterlo in pratica, crederci? Oppure, sotto sotto, per te sono solo parole: una copertina rassicurante, per far finta che i soldi non contino - quando invece fanno eccome la differenza?

Imparare un atteggiamento di ricchezza, di abbondanza, un atteggiamento che migliori il valore della nostra esistenza, ma anche, più banalmente, il modo di gestire conto in banca, portafoglio, carte di credito etc., non è facile.

Pensaci, però: non è importante sapere che la ricchezza non è qualcosa di determinato dalla fortuna/dalla sfiga, e che nemmeno ha a che vedere con il calcolo, la meschinità, la disumanità dello "squalismo"?

Ci sono tanti argomenti di cui dovrei parlare,

1) moneta, denaro e attribuzioni di valore (che cosa è importante?)

2) determinazione di una soglia di povertà (onestamente, quanto ti serve davvero per vivere bene?)

3) mentalità di abbondanza e gratuità (sai dare e ricevere?) (leggi anche qui!)

sono solo alcuni.

Ma voglio cominciare dalla soglia di povertà, e da quello che chiamo il principio di Mr Micawber - ovvero guadagna 100 e non spendere più di 99.

Se non l'hai già fatto, ti chiedo di dare prima un'occhiata a questi due spunti:

http://www.investisutestesso.com/blog/ricchezza/hai-letto-luomo-piu-ricco-di-babilonia-portentoso/comment-page-1/#comment-952

http://www.scotthyoung.com/blog/2008/02/14/whats-your-poverty-threshold/

Fatto?

ScottHYoung, in What's your poverty threshold? -

http://www.scotthyoung.com/blog/2008/02/14/whats-your-poverty-threshold/

invita in modo molto pratico a fissare una soglia delle proprie entrate minime richieste. Possono essere 70.000 euro l'anno, oppure 10.000... o un milione di euro in un anno – non importa. Potresti chiamarlo semplicemente “X” - ma, questo è il punto: quanto vale per te “X”?

Non si tratta tanto di fare una stima di tutto quello che potresti desiderare (non si finirebbe, non c'è limite, seriamente). Si tratta, altrettamento seriamente, di sapere che il primissimo passo verso una sana economia è semplicissimo, ma cruciale:

se guadagni X devi spendere non più di X-1.

Se guadagni 100, spendi fino a 99 e non oltre.

Semplice? Da capire sì, da fare un po' meno.

Puoi partire da una somma che è già fissa – per esempio se disponi di uno stipendio mensile puoi sapere che, a meno di introdurre variazioni nell'assetto delle tue entrate, alla regola non si sfugge: se ci sono 1000 euro al mese, sei ricco finché ne spendi fino a 999 e non oltre.

Quindi, vuoi essere ricco? Fallo! Impara a rinunciare a spendere almeno quell'ultimo euro, come se fosse la cosa più importante, lo sforzo più grande da fare per la serenità delle tue finanze.

Non ti è mai capitato? Per un certo periodo hai vissuto con una certa somma; finiva sempre troppo presto, spendevi qualcosa come un 10% in più che ti faceva arrancare. Poi le tue entrate sono migliorate; sono aumentate non del 10, ma del 20%. Eppure, stranamente, continua a non bastare, anzi: adesso sfori del 15% anziché del 10.

Perché?

Al di là di una soglia minima veramente molto bassa (ci sono persone che vivono modestamente ma serenamente con molto meno di 1000 euro al mese), non esistono grandezze fisse. Non esiste un limite oltre il quale si è “ricchi” e basta, e si può spendere illimitatamente.

Quello che puoi fare, invece, è riconoscere che non vale solo pensare che “si starebbe meglio con qualcosa in più”, ma che, piuttosto, “si potrebbe stare bene anche con qualcosa in meno”.

Se hai la fortuna di guadagnare 1000 euro al mese, sappi che potresti vivere più o meno allo stesso modo anche con 800. Comincia a vivere come se la tua soglia si abbassasse a 800. Risparmiane 200, mettili da parte per un po' e fai come se non esistessero.

Pensi di non farcela? E che cosa succederebbe se il tuo stipendio diminuisse, o se subissi un licenziamento, o se un aumento dei prezzi o un'emergenza ti mettessero di fronte all'inevitabile? Se avessi un figlio, o un figlio in più? Non ce la faresti? Non escogiteresti qualcosa? Se intanto quei 200 euro che non spendi ci sono lo stesso, che cosa ti cambia provare?

Devi sbloccare quel maledetto circolo vizioso per cui non riesci a fermarti prima di aver speso un po' di più di quello di cui avresti potuto disporre!

Datti un momento di respiro: appena puoi, col ritmo a cui puoi, costruisci il tuo piccolo fondo di salvataggio.

Non ce la fai? Non sei ancora strozzato dai debiti: stai solo provando a migliorare la tua sicurezza economica. Prova ad introdurre piccolissime entrate aggiuntive. Fai un lavoretto saltuario per arrotondare. Vendi vecchi oggetti che non ti servono veramente. Accetta di fare qualche straordinario, a patto di mettere da parte il ricavato. Può darsi che tu sia in grado di dare lezioni private, come quando eri studente (non devi farlo tutti i giorni, basta uno alla settimana); può darsi che tu possa fare l'istruttore supplente di nuoto/tennis/sci/fitness... quegli sport che pratichi ancora e che hai praticato intensamente prima di iniziare a lavorare. Può darsi che un amico abbia un'attività e tu possa essergli d'aiuto (commesso/cameriere aggiuntivo il sabato, distributore di volantini, aiuto per consegne in automobile...). Imbianchino. Traslocatore. Gli amici apprezzano questo aiuto e se possono lo pagano volentieri un prezzo simbolico, che però può fare la differenza.

Non si tratta di ammazzarsi di fatica, ma di fare un lavoretto a tempo perso. Qualcosa che sai fare, che non dovrai fare tutti i giorni, e che ti frutterà un guadagno extra.

Prendila alla leggera! Ma fallo, sul serio.

Comincia così, e metti da parte solo una piccola parte a cui riesci a rinunciare. Non di più. Non di meno. Può essere un euro; possono essere 10, 100, 500. Io ne ho proposti 200 su 1000 perché sono il 20%. Penso che sia la soglia massima di accantonamento, di più è difficile da sostenere ed è troppo. Di meno va bene, io suggerisco di partire dal 10 o 12%.


Questo è solo l'inizio di una serie di proposte. Un punto da cui partire. Se hai voglia di farmi sapere come la pensi, nei commenti pubblici o con una e-mail personale, sarò felice di saperlo!

Se hai suggerimenti o richieste di cui possa tener conto nei prossimi interventi, ancora meglio.

Alla prossima, su NormanPress!




martedì 20 aprile 2010


Tutto bene - tutto male: in media stat virtus. Due esercizi mentali



Pronto a salpare? Come ti senti?
Quando hai in mente un progetto, è facile farsi prendere la mano, o da un eccessivo ottimismo, o viceversa dallo sconforto. Sono due tentazioni opposte ma parimenti potenzialmente distruttive - eppure si può imparare a "gestire" entrambe, integrandole in un atteggiamento di pensiero sano e produttivo.

Si tratta di un vero e proprio
esercizio mentale. Per prima cosa, pensa al miglior successo che si possa immaginare - proprio il massimo, esagera! Mettici tutto il buono, il bello, lo straordinario e l'incredibile che puoi immaginare e che ti piacerebbe che venisse fuori da questo progetto.

Quando hai dato libero corso alle più rosee fantasie, passa alla fase due: il peggio che ti puoi aspettare. Esagera di nuovo, nessuna falsa consolazione: tutte le cose più brutte, tristi, avvilenti, i peggiori e più temuti fallimenti che potrebbero venire fuori da questo progetto. Tutto, fino in fondo; fino a quando non avrai dovuto pensare di rinunciare, suturare le ferite, ricominciare a sollevarti dal fango.

Ora passiamo alla fase tre, il preludio alla realizzazione: immagina che, molto probabilmente e realisticamente, quello che succederà sarà una via di mezzo, una media tra tutte le più rosee aspettative e i più neri fallimenti.

E' importante che l'esercizio di raffigurazione uno e due siano compiuti "a briglia sciolta", con la massima ampiezza di vedute: sono contrapposti ed estremi proprio perché ciascuna raffigurazione possa essere assaporata a fondo, quasi "vissuta", senza distrazioni in un senso o nell'altro.
Questo esercizio nelle prime due fasi aiuta a mettere a fuoco il tipo di aspettative e di problemi che si affacciano più che altro alla nostra sfera emotiva, più che razionale, con riguardo al progetto a cui stiamo pensando.
Al momento di fase "realistica" dell'approccio, la via di mezzo tra il massimo del successo e il massimo della sconfitta tende di solito a mostrare - se il progetto è minimamente fondato - che "ne vale comunque la pena": che, mal che vada, si è provato, si è ottenuto qualcosa, si è imparato qualcosa - e, comunque, quello che si può perdere è infinitamente minore di quello che si potrebbe vincere - un po' come quando si punta un euro per un montepremi di 100.000, 1.000.000... la posta in gioco appare incommensurabile rispetto a quello che costa.

E se non funziona? Io l'ho provato - e ha funzionato sempre. Le persone con cui ne ho parlato si sono trovate d'accordo, anche se non erano abituate magari a questo schema, ma se ne raffiguravano uno simile. Naturalmente, ogni esperienza che qualcuno volesse riferire nei commenti è molto gradita. Ma, se non dovesse funzionare, non è quello il momento di arrendersi: perché non ha funzionato, mi dovrei chiedere.
Mi sono attenuto al progetto su cui ho lavorato, oppure ho pensato a una cosa e poi ne ho fatta un'altra? Ho davvero immaginato quello che mi aspettavo, oppure ho barato, giocando al ribasso nella parte positiva, o magari cercando di non vedere dei possibili lati negativi? E, alla fine, ci ho provato davvero, oppure ho cominciato a dubitare di nuovo non appena ho mosso i primi passi?
Si possono studiare molte domande e analisi, adatte alle situazioni di ognuno.
L'esercizio non va fatto solo una volta, al momento di decidere: va ripetuto, in fase decisionale così come un fase di realizzazione. Si tratta di acquisire un atteggiamento mentale realizzatore.

Accettare che "sia davvero possibile" - Vi è mai capitato, a proposito, di rinunciare ad un progetto, per poi scoprire che qualcun altro l'ha realizzato al vostro posto? Se riuscite a ricordare qualche occasione in cui è successo, è molto utile, perché potete evocare quel senso di stupita amarezza, vago rimpianto, velata ammirazione etc. che può aver suscitato; così come, probabilmente, le "scuse" che ha portato a formulare (be', sì, ma è chiaro che poteva farcela, aveva più doti/più soldi/più appoggi etc.). Il punto è: "era possibile", e la maggior parte dei motivi per cui hai rinunciato non avevano ragion d'essere.

Dunque, ecco l'
esercizio n.2. Si riassume in una semplice massima: quando immagini un progetto come impossibile, sappi che, in quello stesso momento, qualcun altro lo sta già facendo al posto tuo.
Immagina; visualizza, a colori se possibile, nel dettaglio, come potrebbe essere. Se rinunci, trova le tue ragioni e non rimpiangerle, perché scuse non ne hai: quello che hai immaginato è possibile, non c'è nessuna ragione perché non debba riuscire. Qualcun altro lo sta già facendo. E' molto più probabile che qualcuno ci abbia già pensato, non sei l'unico essere intelligente sulla faccia della terra. Allora, o si tratta proprio di un'idea stupida e inutile, che non piace nemmeno a te, oppure un giorno qualcuno l'avrà fatta - allora, tanto vale che sia stato tu almeno uno che ci ha provato. Quindi, perché non provare anche tu?
E nel peggiore dei casi, potrai sempre scrivere qui sotto, nei commenti: "sono tutte balle, ci ho provato e non è vero niente!" e sfogare la delusione in un'invettiva (contenete la violenza, please!) contro chi ha scritto questo post.

venerdì 16 aprile 2010


Sei un fanatico della brutta copia?



E, corrispondentemente, della “bella copia”? Oppure fai le cose di getto, non importa come vengono, purché siano? E' l'interrogativo che mi ha suscitato questo articolo mentre ne facevo la traduzione italiana.
A scuola avevo imparato a scrivere i temi prima in “brutta copia”, su un foglio o quaderno a parte, per poi correggere, rielaborare, modificare se necessario, fino a ottenere di poter ricopiare il risultato in “bella copia”.

All'inizio aveva funzionato – Poi non più. Il lavoro in brutta copia si prendeva tutto il tempo a disposizione, finché al momento di consegnare non restava che depositare sulla cattedra un tristo plico di fogli scarabocchiati, nel migliore dei casi accompagnato dall'inizio della trascrizione in “bella”.

Proprio come per il primo compito in classe di latino, versione: per cui avevo strappato un generoso 6, quando l'otto o il nove sarebbero stati agevolmente alla mia portata! (leggi)

Eppure per tutto il mio corso di studi, e anche in famiglia, avevo sempre imparato che “se non fai bene una cosa, è meglio che tu non la faccia affatto”; “per fare tutto e male, piuttosto non fare niente”. Il punto è che queste sagge massime non tenevano conto di una attitudine generale, non solo mia ma di gran parte della mia famiglia, a raggiungere un perfezionismo estremo. Le capacità di analisi del singolo dettaglio sembravano quasi patologicamente fuori standard e quelle erano una massime deleterie: semplicemente, si risolvevano nel non poter portare a termine alcunché. Ad ogni tappa del lavoro, prima di poter passare alla seguente, una sequela veramente infinita di possibili correzioni, migliorie, revisioni, faceva sì che non si potesse mai giungere alla fase successiva. (Saper finire è importante: leggi una testimonianza di Ilaria Cardani).
A peggiorare la situazione, quella cura maniacale era additata quale esempio per gli altri, e passarono veramente molti anni prima che il suo lato “oscuro” venisse a galla.

Cominiciai dai temi in brutta. Man mano che il tema mi diventava meno ostile, che prendevo dimestichezza e sicurezza, cominciai a riflettere sulle modalità di svolgimento. Mi accorsi che non era tanto difficile riempire la pagina bianca, ma, piuttosto, come riempirla: con quali delle multiformi idee che la traccia mi suggeriva. Una volta preso il via, ad ogni paragrafo il tema stesso sembrava cambiare, non era più uno schema predefinito, ma un testo vivo, che si dipanava in sorprendenti tentacoli in ogni direzione infinitamente possibile.
Lavorando sull'organizzazione del tempo, avevo ottenuto di riuscire più o meno sempre a finire, o quasi, la trascrizione in bella copia. Qualche volta tagliavo un pezzo per riuscire a finire. Però mi accorsi di un'altra cosa: mentre copiavo, cambiavo. La “brutta” era già abbastanza ben scritta e anche ordinata; tuttavia, ad ogni frase che copiavo mi venivano in mente espressioni nuove che mi piacevano di più, sinonimi che preferivo, idee nuove. Andava bene: ma c'era qualcosa che poteva andare meglio. La brutta restava da una parte; la bella era qualcosa di nuovo.
Decisi recisamente che non me ne importava nulla delle indicazioni prudenti dei professori: bando alla brutta, il mio lavoro sarebbe venuto fuori in versione definitiva. Far due volte lo stesso lavoro non aveva senso; farne due diversi era una fatica esagerata; non restava che fare la bella subito.
Il mio rendimento, e il mio piacere nello scrivere, ebbe un vero e proprio salto di qualità!
Smisi di “compilare” il tema, e cominciai a creare; stili, tentativi, schemi e impostazioni differenti. Non era solo migliore; non era solo meno faticoso: era un divertimento. Potevo creare tre o quattro idee diverse di tema per volta; ce n'erano per me e ce n'erano da suggerire ai vicini di banco, idee per tutti.
Quando mi arrestai di fronte al nuovo tipo di esercizio, la versione di latino, più o meno avevo capito il problema, quindi per la volta dopo fu abbastanza agevole correre ai ripari.

Succede continuamente di incepparsi. Prima di uscire di casa, o facendo i bagagli per un viaggio, scrivendo un articolo, o scegliendo un regalo o organizzando una festa... Tutto. Allora si tratta di dire “falla finita”, “al diavolo!”, e portare a termine. “Se è così importante, lo perfezionerai dopo”. Ma, quando è finito, il particolare si armonizza nell'insieme, e a volte non c'è più niente da correggere.
Dopo alcuni anni che avevo cominciato a mettere a fuoco questo aspetto, e a lavorarci, come probabilmente farò per gran parte della vita, un amico mi riferì la massima che la sua saggia bisnonna era solita ripetere: “Il meglio è nemico del bene”.

Si può dire che un modello sia migliore dell'altro? Io credo di no. Sono modelli, suggerimenti: vanno bene per quel che serve, non hanno nulla di assoluto o di necessario. E' più utile il calcio o il ferro? E' più salutare il sonno o l'attività fisica? Se poste in assoluto, senza un raffronto pratico, sono domande cretine – non hanno senso. Il giusto sta nella maggior parte dei casi in un equilibrio tra diverse tendenze.
Allora quello che è importante, prima di scegliere un modello, è individuare la tendenza sulla quale dovrà essere calibrato. Se ho una carenza di ferro non mi “farà bene” bere più latte, ma piuttosto mangiare più carni rosse – il che non significa affatto che le carni rosse siano più salutari del latte. In tutte le cose, non esiste una ricetta universale concreta per il successo: solo una valutazione sempre perfettibile di complessi fattori può portare a lavorare su singoli risultati.
Tra cura perfezionista dei particolari (meglio non finire, che finire male) e sicurezza del risultato (finito è bene, e il meglio è nemico del bene), non esiste la formula giusta. E' chiaro che il lavoro perfetto è quello che si immagina fatto al meglio, corretto e curato in ogni particolare, portato a termine senza eccessivo sforzo, elegantemente e precisamente, in tempo utile, tutto completo e rifinito, in armonia con altri lavori con cui si debba eventualmente coordinare. Sì, ma al di sotto di questa iperuranica perfezione, che cosa si trova nel nostro mondo reale?
Quello che si trova è per ciascuno diverso, e ci sarà chi non ha problemi a finire, purché sia, e farà forse bene a spendere un poco di attenzione in più sulla cura del dettaglio; e chi fa dei lavori accuratissimi, ma in quantità insufficienti o con tempi inefficienti perché possano essere utili, e a questo converrà ricordare la massima, abbandonare un po' di pignoleria, e giungere al risultato.
Chi può dare le giuste indicazioni? Qualcuno che può aiutare si trova sempre, ma la sola persona dalla quale si può pretendere che arrivi a padroneggiare la situazione siamo sempre e solo noi stessi. Nessun capo, nessun maestro, nessun collaboratore potrà darci la misura giusta del nostro lavoro: questo spetta a noi.
Una volta scelto “che cosa” fare, allora ottimi supporti si possono trovare sul “come”. Se si vuole ridurre il tempo di lavoro, qualcuno può suggerirci dalla sua esperienza qualche trucco su come allenarsi. Se vogliamo incrementare la nostra accuratezza, idem.
Molto dipende anche da quale sia il nostro settore. Curiamo un lavoro d'èlite, oppure lavoriamo su pezzi in serie? Perché se sono il sarto che opera sull'Armani da consegnare alla regina Rania di Giordania per un galà, forse il livello di dettaglio che ci si aspetta da me è un po' più elevato rispetto a quello che ci si aspetta per l'applicazione di un francobollo su una busta.
Tarare le misure è la parte più ardua – e non si finisce mai di ricalibrare.

martedì 13 aprile 2010

Approfondire l'apprendimento olistico

Mi è stato chiesto di indicare qualche percorso di approfondimento per l'apprendimento olistico. Naturalmente, inutile cominciare da qui se ancora non si è scaricato il lavoro da cui siamo partiti - "Holistic Learning" di ScottHYoung, nella versione italiana o in quella originale!
Detto questo, proseguiamo. Come faccio spesso, metto un po' di carne al fuoco: una carrellata di link, che mi riservo di commentare, invitando tutti a fare lo stesso.

Enciclopedia olistica www.enciclopediaolistica.com
Metodi di apprendimento viasenzanome.wordpress.com
Il sito di Enrico Cheli www.enricocheli.com

Gli approfondimenti e le precisazioni di ScottHYoung, studying and holistic learning e

lunedì 12 aprile 2010


Che strada hai fatto per arrivare qui?


Sì, si riferisce anche a come sei arrivato su questa pagina! E, no: non si riferisce principalmente a questo - ma a qualunque aspetto dell'esistenza.
Come sei arrivato a fare il lavoro che fai, a vivere dove vivi, a frequentare queste o quelle persone... A pensare come pensi, a parlare, muoverti, vestirti atteggiarti in un certo modo, mangiare determinati cibi, frequentare determinati luoghi, leggere certi libri, guardare certi programmi televisivi, frequentare siti internet o blog - e per questo, sì, anche leggere questo blog.
Che cosa ha portato me, a scrivere questo blog? Non solo sono infinitamente molteplici le strade che avrebbero potuto portare a un certo punto; ma spesso sono tante e diramate anche quelle che abbiamo effettivamente percorso per arrivarci.
Sono pre-determinate? Sono indeterminate del tutto? Non saprei dire.
Però penso ad una specie di mappa personale. Ci sono delle "tappe" che "mi hanno portato fin qui"? Ho iniziato a scrivere dopo un lungo periodo di mancanza di stimoli, fiacchezza, per risvegliarmi dal quale sono intervenuti tanti piccoli fattori; le prime attività continuative sono state alcune traduzioni, la lettura dei blog ScottHYoung e InvestiSuTeStesso; mi hanno fatto venire voglia di pubblicare un blog. Scrivere mi è sempre piaciuto; c'è stato un periodo in cui avevo mosso qualche passo verso un ambito giornalistico. Anche se ho sempre pensato più che altro alla carta stampata, si trattava di giornalismo televisivo: anche se potevo occuparmi principalmente di preparazione e scrittura di testi, dovevo tener conto non soltanto del contenuto, ma di come ne sarebbe risultata la lettura a voce. E dovevo tener conto del valore logico dei contenuti, ma anche della resa delle immagini video associate.
Questi aspetti mi tornano in mente ogni volta che penso a come figura la schermata che si apre come home page, o penso ad un'impaginazione, o immagino come possa "suonare" un testo letto lentamente, oppure ad una lettura veloce.
Per una via completamente diversa, un po' più di un anno fa ho avuto occasione di seguire l'avviamento di un sito internet: non ne sapevo assolutamente niente, e poi ecco che in pochi giorni ho assorbito una quantità di dati disparati su contenuti, struttura, gestione, posizionamento. Lo strumento Analytics aveva destato tutta la mia curiosità, ma allora pareva qualcosa di riservato agli adepti. Oggi lo consulto un giorno sì e un giorno anche, divertendomi e interessandomi a vedere anche solo poche semplici informazioni di dati di traffico.
Tutte queste cose avevano tenuto desta la mia attenzione, ma ciascuna aveva seguito i propri sviluppi, li aveva più o meno esauriti, e da tempo non mi tornava quasi in mente. E poi di punto in bianco un'idea che non c'entrerebbe niente si fa strada, e mi accorgo di come cose che parevano dimenticate siano come vive e presenti, utili all'occorrenza, risolutive o semplicemente fonti di nuove ispirazioni.
Quello che ho notato, insomma, una volta di più, è che tutto torna. E quanto più i rimandi, i collegamenti, le reti delle nostre ispirazioni sono diramate, tanto più si arricchisce l'intensità con cui possiamo assaporarne l'esperienza.
Ho amici che mi prendono in giro, perché spessissimo attacco ad additare cose che vedo, o a sottolineare frasi e pensieri, divagando a dire "questo mi ricorda...", "mi fa venire in mente..."; "è proprio come quella volta che..." o "questo posto somiglia a...".
Molti collegamenti sono più che improbabili - eppure non impossibili. Di solito paiono del tutto assurdi per chi ascolta, se non che i percorsi che seguo in base ad essi finiscono spesso per portare ad una prospettiva, spiegazione o magari soluzione a cui l'interlocutore non aveva pensato, e che finisce per trovare tuttavia migliore di altre.
Più spesso questi percorsi non si palesano, però servono a me per capire qualcosa, sviluppare un pensiero, analizzare una situazione. E' uno strumento di organizzazione mentale apparentemente caotica che potenzia la portata dei dati che sono memorizzati.
Una "rete" di connessioni come questa è del genere di quella che ScottHYoung descrive applicandola alle tecniche di apprendimento, chiamandola holistic learning, "apprendimento olistico". Una struttura di questo tipo è efficacissima nel campo dell'apprendimento, ma la cosa più interessante, e uno dei suoi punti di forza, è che non si limita a settori specifici - proprio al contrario, funziona tanto meglio quanto più è estesa trasversalmente a settori disomogenei, diversi tra loro.

Vuoi saperne di più su reti di conoscenza e apprendimeno olistico? Scarica la versione italiana "Apprendimento olistico" o, se preferisci la versione originale, "Holistic Learning" - e' un e-book completamente gratuito, è interessante e scorrevole e contiene le indicazioni per approfondire la lettura!

martedì 6 aprile 2010

Al mare!


Qualche bellissima giornata di mare - ritmi subito più naturali, il respiro che si apre, voglia di muoversi, di stiracchiarsi, pelle che sembra immediatamente rigenerarsi sotto il sole.
I pensieri rimangono un poco sospesi, ma appena prendono a scorrere è come se tenessero conto solo di cose molto futili, o molto importanti. Facile, con un po' di rilassata franchezza, accorgersi di quanto alcuni affanni, alcuni accenni di angosce, alcuni aspetti quotidiani siano inessenziali, o inutili, o inutilmente dannosi.
Mi accorgo di come sia facile immaginare di lavorare così, solo con un computer e una chiavetta per la connessione in rete - come sarebbe facile davvero da qualunque parte se non proprio del mondo almeno di gran parte del mondo. Mi chiedo che cosa leghi la maggior parte di noi a mantenere certe impostazioni di lavoro stabilite.
La mia amica, che si è portata da lavorare in spiaggia, potrebbe andare avanti così probabilmente almeno una settimana, senza che la sua assenza fisica dall'ufficio la rendesse meno utile o efficiente. Eppure per i suoi capi, in questo momento, lei non sta lavorando.
Appunto queste osservazioni come su un post-it mentale - brevemente le riporto qui, chissà che non si approfondiscano in un altro momento - la mia mente segue già, ascoltando, un volo di gabbiani; mi guardo intorno, gli occhi cercano le loro traiettorie; il mare, il cielo, spazi così aperti (specie rispetto al consueto monitor del computer) fanno allargare il campo visivo. Anche il viso sembra aprirsi, distendersi, gli occhi si fanno più grandi. Quanto mancano queste cose, se le si confina nello spazio privilegiato di brevi periodi di vacanza. Eppure non hanno nulla di specificamente vincolato all'"essere in vacanza": sono cose semplici - non di rado le ho trovate in momenti molto più convulsi. Per ora, l'appunto mentale finisce qui - e torno a seguire gabbiani!

venerdì 2 aprile 2010


Scommetti che ti piacciono i broccoli?



Cucinati così, difficile dire di no. Un mix di sapori freschi e sorprendenti, verdura e legumi rivestiti di una salsa semplice dal sapore esotico. Ideale anche come antipasto, provatelo all'aperitivo o per il brunch della domenica. Leggero ed energetico, conquisterà anche gli amici più salutisti, vegetariani o a dieta.

Una sfiziosa ricetta tutta vegetariana che Jules Clancy ha regalato ai lettori di Zenhabits, dal suo ricettario-minimalista stonesoup . NormanPress la traduce per i suoi lettori/assaggiatori

Una traduzione di P.M.Maritano - Articolo originale in inglese http://zenhabits.net/2010/03/mindful-eating/

[5 ingredienti | 10 minuti]

broccoli super semplici con ceci & salsa tahini

2 – 3 porzioni

Sono i broccoli al loro meglio. Croccanti e freschi in alcuni punti, caramellati e complessi in altri. Sembrano proprio molto di più che – be', solo broccoli. Con tutta quella varietà è un gran piatto per esercitare la garbata arte del mangiare attento.

Ho aggiunto i ceci per renderlo più un pasto completo, ma si sa che sono solito tuffarmi allegramente in una grossa insalatiera di broccoli da soli.

Il tahini è una pasta di semi di sesamo ed è disponibile nella maggior parte dei negozi di cibi naturali. Lo yoghurt al naturale è un valido sostituto.

Se Leo non ti ha ancora convinto a diventare vegano, i broccoli sono anche spettacolari serviti con del bacon croccante o un uovo leggermente cotto in camicia.

1 testa di broccoli, tagliata ad alberelli formato boccone
olio extra vergine di oliva
1 lattina di ceci (400g o 14oz) scolati
2 cucchiai di tahini
3 cucchiai di succo di limone
Preriscaldare una padella ampia sul fuoco più grande.

Aggiungere 2 cucchiai di olio nella padella. Quando comincia a fumare aggiungere i broccoli e coprire con un coperchio o un vassoio da forno - è importante chiuderlo bene, così i broccoli friggono sul fondo ma cuociono al vapore in superficie.

Dopo 2 minuti, togliere il coperchio e mescolare. Rimettere il coperchio e cuocere per altri 2 minuti. Aggiungere i ceci e mescolare. Coprire e cuocere per un altro minuto.

Assaggiare un pezzo di broccoli – se è tenero, togliere dal fuoco. Se no, coprire e cuocere ancora per qualche minuto. Condire con sale e pepe.

Nel frattempo unire tahini e succo di limone con 2 cucchiai di acqua e mescolare fino ad ottenere una salsa omogenea.
Servire broccoli e ceci con la salsa tahini cosparsa in cima.


La nota di Norman:

broccoli e semi di sesamo contengono elevate dosi di calcio (nei broccoli almeno 47 mg per 100g); i ceci e il sesamo proteine. Una ricetta come questa può essere il complemento ideale se nella vostra dieta avete scelto di ridurre o eliminare carni e/o latticini.

Questi dati hanno valore informativo generico e non costituiscono in nessun modo un parere/consulenza/consiglio dietetico nè tantomeno medico! Se avete bisogno di questo dovreste consultare uno specialista, ok? Buon appetito!

Cerca le altre ricette di Jules Clancy

Prova un'altra ricetta esotica ai broccoli: il tabbouleh (tabulé)