sabato 25 gennaio 2014

Che cosa ti tratterrebbe dall'imparare? "Motivazione" e dintorni

"Studiosus" è chi ha amore per il sapere. Non per il potere che deriva da un sapere, ma per il sapere e basta. Ciò significa che non mi basta sapere quel tanto che mi dà, per esempio, un vantaggio su un altro - significa che il vantaggio maggiore, per me, è quello di poter imparare qualcosa di nuovo.
Nel primo caso, ogni volta che incontrerò qualcuno, mi chiederò se sa di più o di meno di me, e se sa di più ne avrò paura e starò all'erta; se sa di meno, sarà alla mia mercè. Preferirò circondarmi di gente che mi tema per il mio sapere, persone ignoranti al mio confronto, che potrò dominare grazie alla mia superiorità.
Nel secondo caso, invece, una persona che sa più di me sarà solo qualcuno dal quale potrò imparare; una persona che sa di meno sarà una persona alla quale potrò offrire di imparare qualcosa da me, se lo desidera. Ogni volta che incontrerò qualcuno, sarà l'occasione per uno scambio di sapere, perché "qualcosa che si sa" circoli e si diffonda. Lo studioso che ama il sapere ama qualcosa di buono e inesauribile, che assume maggior valore quanto più è capace di circolare.

Ma che cosa "trattiene" dall'imparare?
Si potrebbe dire la prigrizia, la svogliatezza. L'apprendimento, come ogni cambiamento positivo, implica una fatica di qualche genere. Se ogni volta che una forma di resistenza ci si manifesta desistessimo immediatamente da ogni tipo di sforzo, non procederemmo mai, non ci smuoveremmo mai (fisicamente o metaforicamente) dalla posizione in cui siamo.
Scott H.Young ipotizza che ciò che trattiene i più dall'imparare sia l'opinione che l'apprendimento e l'istruzione abbiano un costo troppo elevato e richiedano troppo tempo.
E' vero anche il contrario, però: in alcuni casi si pensa che valga la pena di imparare qualcosa solo se costa molto caro e se richiede una gran quantità di tempo.
In realtà, però, imparare non significa aver imparato qualcosa e non pensarci più, bensì avere una disposizione per il nuovo, l'originalità, l'interesse a mettere in collegamento qualcosa che si sa già con qualcosa che non si sa ancora. Così l'imparare, lo studio, è più una concatenazione di saperi, una rete, che non uno scatolone riempito di cose che prima di essere state davvero utili sono già vecchie. Imparare è certamente anche immagazzinare una serie di informazioni, ma prima che accumulare dati è acquisire l'abitudine ad organizzarli, legarli, rimescolarli, gestirli.
Così se ho imparato i rudimenti del latino non si tratta di aver perso tempo con qualcosa di inutile o di aver acquisito la capacità di parlare difficile, ma, prima di tutto, l'avere esercitato il pensiero sulla struttura linguistica comune ad una gran parte delle lingue europee. Se studierò francese, o spagnolo, partendo dal raffronto tra italiano e latino, muovermi tra vocaboli e grammatica mi farà sentire come se conoscessi già una mappa generale di molti percorsi. E' come saper guidare l'automobile: non serve perché così si è certi di sapere percorrere la strada sulla quale si è imparato a tenere il volante, ma perché con quella capacità si può condurre il mezzo attraverso reti lunghissime e ramificate di strade in tutto il mondo.
Ma che cosa trattiene dall'imparare?
Davvero.
Per alcuni non è questo il caso; eppure per molti imparare è "un problema".
Non credo che esista un motivo universale. Però può darsi che ci siano alcuni motivi più comuni o interessanti. Così la motivazione ad apprendere può assumere molti aspetti diversi.
"E' difficile". "Non fa per me". "Non mi interessa". "Non serve a niente". "L'insegnante non mi piace"; "E' noioso"; "Mi piace in teoria, ma non mi piace nella pratica"; "ci vuole troppo tempo"; "costa troppo"; "sono troppo vecchio"; "non sono capace"; "conosco i miei limiti, sarebbe un altro fallimento". Me ne sono venuti in mente una dozzina - o meglio, sono dieci più i due indicati da Scott!

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