“Ti
amo”, mi ripeto a volte, è una promessa, non una constatazione.
Ti
amo, ti voglio bene, scusami, mi dispiace... ma
anche conta pure su di me, vediamoci, ci sentiamo:
sono tutti casi in cui quello che importa non è tanto constatare che
le cose stanno così; piuttosto, si tratta di qualcosa che si
promette.
E'
strano come ci comportiamo spesso al contrario. Ci aspettiamo di
poter dichiarare quelle parole, o di riceverle come dichiarazione da
altri, come se fossero una panacea, una cura miracolosa di tutti i
mali. Se potessi dire “Ti voglio bene”, “Ti amo”, per
esempio, o se qualcuno lo dicesse a me, allora sembra che facilmente
mi dovrei sentire come se il grosso dei guai fosse passato, i
problemi superati, tutto fosse non proprio perfetto, magari, ma molto
vicino alla possibilità della felicità e della perfezione.
Ecco
che poi diciamo, tra il disincanto, il realismo e la delusione, che
“l'amore non basta”, che “sono solo (belle) parole” e così
via. Una volta approdati alla fatidica dichiarazione, non sopportiamo
più che qualcosa possa andare pesantemente storto. Strano, oppure
no?
E'
curioso, prima di tutto, quanto spesso ci barcameniamo intorno al
concetto.
Ho
avuto occasione di partecipare, anche in prima persona, a discussioni
pure un po' buffe circa i sofismi del verbo “amare”. Il catalogo
è vasto, come noto. Si va dal più classico “non basta amare a
parole, bisogna mostrarlo nei fatti” a “un conto è l'amore, un
altro il semplice innamoramento”.
Ne
vogliamo parlare? Per poi metterlo in fatti, sia chiaro: ma questo
sta a me come a ciascuno di noi, per la più gran parte fuori
da queste pagine).
Inizio
proprio da qui, da questa idea di una differenza tra “amore” e
“innamoramento”. Non mi è mai piaciuta questa distinzione. Di
solito chi la propone parte da un discorso a pretesa di fondamento
naturalistico-biologico-fisiologico: un conto è la “chimica”,
che ci vuole ma è importante fino ad un certo punto, un altro è il
sentimento.
Questo
approccio mi suscita un pesante scetticismo, ma riconosco che ha una
certa presa logica, quantomeno.
Secondo
quell'idea, approssimativamente, il fenomeno naturale dell'attrazione
susciterebbe quello che si chiamerebbe “innamoramento” - il
tipico effetto dello stomaco che si chiude o delle gambe molli e il
batticuore allorchè si incontra la persona che suscita
quell'innamoramento.
L'“amore”,
invece, sarebbe tutt'altro perché, come sentimento, sarebbe per così
dire “staccato” dalla pura materialità e comporterebbe tutta una
serie di aspetti meno immediati ma più ardui, come la fedeltà,
l'attenzione per l'altro, il rispetto, la compartecipazione, la
condivisione delle esperienze di vita così nella quotidianità come
nella progettualità e così via.
E'
chiaro che distinguere radicalmente queste cose non sembra avere del
tutto senso – ma proseguiamo.
Secondo
uno schema abbastanza usato, molti racconteranno che dapprima in una
storia d'amore sopravviene la fase di innamoramento, alla quale
eventualmente potrebbe succedere la fortunata e più rara condizione
di amore. Mi sembra tanto il tipo di discorso che il genitore
premuroso fa alla giovane prole più o meno con cautela, per mettere
le mani avanti in caso di entusiasmi un po' troppo trascinanti nelle
fasi di crescita: “Guarda, lui/lei ora ti sembra il centro del
mondo, ma non è così, anche se è un momento bello e importante
devi capire che è solo innamoramento: l'amore è un'altra cosa”.
Spesso
chi fa questo discorso non ha affatto idea di che cosa sia l'amore:
ha solo paura che quel rischioso innamoramento causi chissà quali
sconquassi. A volte, invece, chi fa questo discorso è un po' goffo,
ma non soltanto lo fa in buona fede: ha, cosa più importante, anche
qualche esperienza di valore su quello che intende per amore.
In
questo schema ci sono due aspetti che danno un po' da pensare a prima
vista. Il primo, che se le cose stanno così, ovviamente, ci sono
tutta una serie di questioni che riguarderebbero il famoso
“innamoramento” e che tuttavia non avrebbero niente a che fare
con “l'amore”, col quale spesso sarebbero confuse. Un secondo
aspetto è che, sempre se le cose si mettono così, allora può ben
darsi che ci sia “amore” senza che nessuno dei tipici effetti
dello (scomodo) innamoramento si mettano di mezzo.
E'
intorno a questa seconda ipotesi, per esempio, che ruota la trama
della bella commedia L'amore ha due facce (Barbra Streisand,
USA 1996; con Barbra Streisand; Jeff Bridges; Lauren Bacall; Mimi
Rogers; Pierce Brosnan; titolo originale The Mirror has two Faces).
Il
discorso, come si vede, è insidioso!
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