sabato 10 novembre 2012

Progetta la tua vita: che cosa faresti se non avessi niente da fare? - un post di Leo Babauta - traduzione di P.M.Maritano


 "1. Che cosa è importante? 
Chiedi a te stesso che cosa è soprattutto importante per te. I lettori abituali di Zen Habits sanno che pongo questa domanda in molti articoli, ma ciò è perché ogni procedimento dovrebbe cominciare con questo, che sia un procedimento per semplificare la produttività, o per la frugalità, o per diventare più felici. Che cosa ami fare? Con chi ami passare del tempo? Fa' una breve lista di 4-5 cose."
Che cosa ti metteresti a fare domani, se andassi oggi in pensione?
Mettiamo che tu abbia una giornata totalmente vuota che ti aspetta. Che tu non abbia da lavorare. Potresti fare assolutamente qualsiasi cosa (sebbene il denaro sia ancora un fattore di limite). Come sarebbe la tua giornata perfetta?
Queste sono qualcosa di più che domande meramente ipotetiche da porre per divertimento o futilmente. E' un esercizio inteso per farti pensare al progettare la tua vita.
Come disegni la tua vita in progetto?

What Do You Want to Do With Your Life? - Che cosa vuoi fare della tua vita? - Questo è un articolo del blog di Scott H. Young; per gentile concessione dell'autore, è possibile renderne disponibile la traduzione in italiano.

Che cosa vuoi fare della tua vita? E' una domanda che quasi ciascuno si pone. E' anche una domanda con cui io non credo che ci si debba assillare per prima cosa.
Non so cosa voglio fare nella vita, tutto ciò che so è che non è questo.
Questa era la sensazione che mi dava a percepire una mia amica. E' sui venticinque anni, brillante, di buon senso e gran lavoratrice. Ma è ancora inceppata a fare lavori che non si distaccano molto dal minimo salariale.

mercoledì 31 ottobre 2012

Di innamoramenti e altre Love Stories


“Ti amo”, mi ripeto a volte, è una promessa, non una constatazione.  
Ti amo, ti voglio bene, scusami, mi dispiace... ma anche conta pure su di me, vediamoci, ci sentiamo: sono tutti casi in cui quello che importa non è tanto constatare che le cose stanno così; piuttosto, si tratta di qualcosa che si promette.
E' strano come ci comportiamo spesso al contrario. Ci aspettiamo di poter dichiarare quelle parole, o di riceverle come dichiarazione da altri, come se fossero una panacea, una cura miracolosa di tutti i mali. Se potessi dire “Ti voglio bene”, “Ti amo”, per esempio, o se qualcuno lo dicesse a me, allora sembra che facilmente mi dovrei sentire come se il grosso dei guai fosse passato, i problemi superati, tutto fosse non proprio perfetto, magari, ma molto vicino alla possibilità della felicità e della perfezione.
Ecco che poi diciamo, tra il disincanto, il realismo e la delusione, che “l'amore non basta”, che “sono solo (belle) parole” e così via. Una volta approdati alla fatidica dichiarazione, non sopportiamo più che qualcosa possa andare pesantemente storto. Strano, oppure no?

E' curioso, prima di tutto, quanto spesso ci barcameniamo intorno al concetto.
Ho avuto occasione di partecipare, anche in prima persona, a discussioni pure un po' buffe circa i sofismi del verbo “amare”. Il catalogo è vasto, come noto. Si va dal più classico “non basta amare a parole, bisogna mostrarlo nei fatti” a “un conto è l'amore, un altro il semplice innamoramento”.
Ne vogliamo parlare? Per poi metterlo in fatti, sia chiaro: ma questo sta a me come a ciascuno di noi, per la più gran parte fuori da queste pagine). 
 
Inizio proprio da qui, da questa idea di una differenza tra “amore” e “innamoramento”. Non mi è mai piaciuta questa distinzione. Di solito chi la propone parte da un discorso a pretesa di fondamento naturalistico-biologico-fisiologico: un conto è la “chimica”, che ci vuole ma è importante fino ad un certo punto, un altro è il sentimento.
Questo approccio mi suscita un pesante scetticismo, ma riconosco che ha una certa presa logica, quantomeno.
Secondo quell'idea, approssimativamente, il fenomeno naturale dell'attrazione susciterebbe quello che si chiamerebbe “innamoramento” - il tipico effetto dello stomaco che si chiude o delle gambe molli e il batticuore allorchè si incontra la persona che suscita quell'innamoramento.
L'“amore”, invece, sarebbe tutt'altro perché, come sentimento, sarebbe per così dire “staccato” dalla pura materialità e comporterebbe tutta una serie di aspetti meno immediati ma più ardui, come la fedeltà, l'attenzione per l'altro, il rispetto, la compartecipazione, la condivisione delle esperienze di vita così nella quotidianità come nella progettualità e così via.
E' chiaro che distinguere radicalmente queste cose non sembra avere del tutto senso – ma proseguiamo.
Secondo uno schema abbastanza usato, molti racconteranno che dapprima in una storia d'amore sopravviene la fase di innamoramento, alla quale eventualmente potrebbe succedere la fortunata e più rara condizione di amore. Mi sembra tanto il tipo di discorso che il genitore premuroso fa alla giovane prole più o meno con cautela, per mettere le mani avanti in caso di entusiasmi un po' troppo trascinanti nelle fasi di crescita: “Guarda, lui/lei ora ti sembra il centro del mondo, ma non è così, anche se è un momento bello e importante devi capire che è solo innamoramento: l'amore è un'altra cosa”.
Spesso chi fa questo discorso non ha affatto idea di che cosa sia l'amore: ha solo paura che quel rischioso innamoramento causi chissà quali sconquassi. A volte, invece, chi fa questo discorso è un po' goffo, ma non soltanto lo fa in buona fede: ha, cosa più importante, anche qualche esperienza di valore su quello che intende per amore.
In questo schema ci sono due aspetti che danno un po' da pensare a prima vista. Il primo, che se le cose stanno così, ovviamente, ci sono tutta una serie di questioni che riguarderebbero il famoso “innamoramento” e che tuttavia non avrebbero niente a che fare con “l'amore”, col quale spesso sarebbero confuse. Un secondo aspetto è che, sempre se le cose si mettono così, allora può ben darsi che ci sia “amore” senza che nessuno dei tipici effetti dello (scomodo) innamoramento si mettano di mezzo.
E' intorno a questa seconda ipotesi, per esempio, che ruota la trama della bella commedia L'amore ha due facce (Barbra Streisand, USA 1996; con Barbra Streisand; Jeff Bridges; Lauren Bacall; Mimi Rogers; Pierce Brosnan; titolo originale The Mirror has two Faces).
Il discorso, come si vede, è insidioso!
Per il momento basti ancora dire che, ancora una volta se le cose si mettono così, ci comincia a capire perché poi succede che “l'amore non basta”: forse questi discorsi che invece di valorizzare l'amore tendono a sezionarlo, a farlo a pezzi come in una autopsia e basta, non solo lo trattano come una cosa morta – il contrario della vitalità a cui l'amore quasi istintivamente si associa -, ma, di più, lo privano sempre di una parte che, forse in entrambi i casi, è tutt'altro che inessenziale.

giovedì 10 maggio 2012

Le cose che durano

Capita anche a voi di pensarci? Le cose che durano, di solito, non durano per sempre. Durano un po', a lungo o per breve tempo; poi, finiscono. 
Se alcune cose - poche - crediamo che dureranno per sempre, possiamo smettere di chiederci quanto "durano": per sempre vuol dire che sono eterne.
"Eternità":  sembra un ben arduo concetto. Forse per definizione sta a significare... qualcosa di troppo grande perché lo comprendiamo. A volte pensiamo all'"Eterno" come a Dio, direttamente. A volte pensiamo all'eternità come a qualcosa che ci è, in quanto esseri umani, totalmente estraneo: noi non siamo eterni, la nostra vita finisce e così finisce tutto ciò che ci appartiene, che abbiamo avuto, fatto, condiviso, vissuto.
A volte diciamo che "solo ciò che è amore resta". Però dobbiamo saper amare, perché è l'unico modo di riconoscere l'amore. E allora è anche vero che non si può, con qualche strana formula o studio, catalogare l'amore, perché poi rimanga in eterno: piuttosto, quando impariamo ad amare ciò che è eterno, o quando scopriamo qualcosa di eterno, diventiamo in qualche modo esseri fatti d'amore e di eternità, almeno in una piccola parte di noi.
Così, proprio al contrario di quel senso di estraneità tra noi e l'eternità, a volte sentiamo che l'eternità è qualcosa che almeno in minima parte è parte di noi - o siamo noi a prenderne parte. In queste cose in cui ci sentiamo a nostro agio con un senso di eternità, un po' come se fossimo a casa, allora riconosciamo ciò che è più "vero" in noi. 
Se cerchiamo e iniziamo a trovare ciò che ha valore “eterno”, che cosa faremo? Forse questa domanda non si rivolge a chi non cerca e a chi, cercando, non sta trovando nulla. Ma chi crede di trovare, quello inizia a rispondere: che fare? Che cosa faremo, che cosa farai; che cosa facciamo, che cosa fai?  

domenica 15 aprile 2012

Risorse per non smettere mai di imparare



Lingue e altro:

http://www.italki.com 
scambia le tue conoscenze linguistiche e impara nuove lingue, con altri studenti o scegliendo un insegnante;

http://www.allexperts.com 
chiedilo a un esperto: volontari qualificati rispondono a titolo esclusivamente gratuito alle tue domande.
WEU (we-u) - World Education University - corsi online a livello universitario in lingua inglese 


Una risorsa per conoscere: il sito dell'Ecole Normale Supérieure Paris

http://savoirsenmultimedia.ens.fr/focus_detail.php?id=8

sito dell'Ecole Normale Superieure Paris per la diffusione di materiale culturale proveniente da conferenze, corsi, incontri
 sito dell'Ecole Normale Superieure Paris per la diffusione di materiale culturale proveniente da conferenze, corsi, incontr: archivio;
il sito è passato alla nuova versione in marzo 2011 e l'archivio conserva il materiale precedente;
il nuovo sito dell'Ecole Normale Superieure Paris  


giovedì 12 aprile 2012

Ruminate, gente, ruminate...


Basterà mantenersi affamati (secondo l'ormai celeberrima esortazione Stay hungry, stay foolish!) per saper cogliere quel che c'è di buono intorno a noi? Basterà quella ricerca costante, quel tenere gli occhi aperti, quel mantenersi sempre e comunque curiosi (da cur, in latino, la domanda del "perché?" tipica dei bambini) della vita e di tutto ciò che ha da offrire? 
Certo, non c'è male già come punto di partenza. 
Ci sono qui in gioco la curiosità, la passione, il desiderio di conoscere...; il non essere mai sazi di sapere - che aiuta a ricordare quanto sia grande il nostro non-sapere un po' socratico! La meraviglia, come capacità di meravigliarsi, più che stupore attonito puro e semplice...; ma, anche, il vero sbalordimento di chi sa stare a contemplare qualcosa di cui ancora non capisce niente, senza voltare lo sguardo, fuggire o serrare gli occhi per l'imbarazzo o la paura dell'ignoto. Tutto questo è molto

Se non basta non è nel senso di una misura delle cose, bensì nel senso della qualità

Curiosità, passione, meraviglia, desiderio fanno parte del gioco e ne fanno parte alla grande: solo che non sono tutto, come spesso accade nel mondo delle passioni. Il qualcosa in più che ci vuole per fare la differenza ha a che vedere con una parte razionale, che richiama - certamente - alla misura, alla temperanza, alla disciplina, ma non solo: richiama, e forse è ancora più importante, anche all'esercizio e alla semplicità nella sobrietà
Vorrei soffermarmi con voi su questo: l'esercizio e la semplicità nella sobrietà nel senso di una "misura".

Certamente lo "sbocconcellare", il procedere  "a piccoli passi", un passo per volta, uno-dopo-l'altro etc. è un ottimo esercizio (un po' zen-minimalista); invita alla temperanza, al non avere fretta, aiuta a procedere per gradi - che è l'ideale soprattutto se si segue un metodo di apprendimento consolidato, come le lezioni di un grande maestro o un buon corso o manuale "classico". 
Non qualunque esercizio, però, è giusto per qualunque attività. Così c'è il momento in cui occorre un esercizio per la lentezza e il consolidamento e uno in cui occorre un esercizio per la velocità e il potenziamento. Il valore di un esercizio sta in almeno due aspetti diversi: l'adeguatezza per uno specifico risultato (il "fine" dell'esercizio), da un lato, e, dall'altro, il valore dell'esercitarsi stesso, cioè quell'arricchimento che ci deriva dal dedicarci ad una qualsiasi attività con metodo e costanza. 
Se il secondo valore si può ricavare da qualunque "esercizio", anche se in grado diverso, il primo dipende proprio da ciò che si vuole ottenere e, in effetti, un esercizio inadeguato può non solo essere inutile, ma, peggio, ottenere un effetto opposto dal desiderato. Se per esempio vogliamo correre veloci, ma ci applichiamo in esercizi che affaticano il muscolo senza renderlo agile, potremmo peggiorare le nostre prestazioni e porci nella disposizione peggiore per un futuro miglioramento. 
E' importante, dunque, che l'esercizio faccia al caso nostro. Se ci chiediamo come esercitare il nostro apprendimento, è importante che ci mettiamo nella disposizione di trovare il giusto esercizio
Che dire della sobrietà e della semplicità? Una cosa non è facile solo perché sia semplice, nè difficile solo perché complicata. Può darsi che qualcosa che vorremmo fare non sia affatto complicato, però abbia qualcosa di difficile: è semplice, e tuttavia difficile: non complicato. Se comprendiamo che qualcosa non è complicato, non avremo bisogno di molti ragionamenti per affrontarlo: si tratterà di superare una difficoltà che non richiede ragionamento, ma, per esempio, messa in pratica. Può darsi che non riusciamo a capire un libro di biologia perché impiega delle formule matematiche con le quali non abbiamo familiarità: probabilmente non si tratta di matematica complicata - semplicemente, è matematica, mentre noi ci occupiamo di biologia. Il nostro problema, semplificato, non è quello di arrovellarci su complicate teorie su quell'argomento di biologia, bensì quello di chiarirci le idee sulla lettura di quelle astruse formule matematiche. Può darsi che possiamo farcele spiegare da qualcuno; può darsi che valga la pena di dedicare un momento di studio e di ricerca solo su quei passaggi. La difficoltà è nella qualità di una cosa specifica: è difficile, mentre non c'è niente di complicato
Imparare a guardare le cose nei loro aspetti semplici può aiutarci a trovare il punto di partenza per capire quello che non capiamo. Ammettere, con sobrietà e senza complicazioni, che cosa sia ciò che non capiamo ci permette di concentrare la nostra attenzione; ci permette anche di riconoscere che ci sono altri aspetti nei quali non abbiamo problemi. Semplicità e sobrietà, in questo senso, ci aiutano a distinguere onestamente tra i nostri punti di forza e i nostri punti deboli

Si, ma perchè "ruminare""? 
Prima di tutto, perché lo fanno le mucche, e dalle mucche c'è da prendere esempio senz'altro in qualcosa. 
Scherzi a parte. Un conto è mangiare piccole porzioni un po' per volta. Un altro è fare delle grandi abboffate indigeste. Ma un altro dicorso ancora è quello di immagazzinare una grande quantità di informazioni o nozioni, per poi tornare piano piano a rivederle - proprio come fa il ruminante, che assume grandi quantità di cibo, ma le digerisce a tappe e in più riprese, mooolto lentamente. 
Se leggiamo molto, ascoltiamo molte lezioni o conferenze, studiamo tanto etc., può darsi che abbiamo a volte l'impressione di non andare avanti, di non assimilare niente - o non assimilare a sufficienza - di quello che "divoriamo". 
Tuttavia a volte anche l'apprendimento a piccoli passi, solo un pochino per volta, può farci perdere la lena, demotivarci, darci la sensazione che la materia sia inconsistente, o dispersiva. 
Tra l'"abboffo" e il minimalismo "zen", forse la "terza via" praticabile è proprio quella di un placido e concentrato "ruminare", che valorizzi l'assimilazione di grandi scorpacciate di sapere. 
Come fare, fuor di metafora? 
Prendiamo ad esempio un libro; ma il discorso vale anche per una conferenza, un corso in più lezioni, un articolo di blog etc.
Un libro può essere molto "ponderoso", un bel mattone di centinaia di pagine; può anche essere di poche decine di pagine, e tuttavia molto difficile, per esempio perché usa un lessico al quale non siamo abituati o nel quale non siamo competenti. Che fare? Il sistema della vorace abbuffata ci porterebbe a leggerlo rapidamente, senza capirci molto, per poi passare ad altro e dimenticarlo del tutto. Il metodo "minimal-zen" di fare un piccolo passo per volta ci direbbe di leggerne magari una sola pagina per volta, pur di essere sicuri di averne capito almeno qualcosa. Questo però potrebbe metterci nel grande imbarazzo di passare mesi e mesi su un solo libro, senza riuscire nemmeno a coglierne un senso vago. 
La terza via, del ruminante, in questo caso ci suggerisce di leggere il libro comunque, andando avanti più o meno con il nostro solito ritmo, offrendoci così, per prima cosa, la soddisfazione di andare avanti nella lettura; inoltre, più importante, ci dà la possibilità di cominciare a cogliere  qualcosa, cominciare a capire. Può darsi che una parola difficile cominci ad entrarci in mente, a darci un'idea del suo significato, fino a quando, andandola a verificare sul vocabolario o con una ricerca online, scopriamo quasi con sorpresa che avevamo già capito che cosa voleva dire. In questo modo difficilmente la dimenticheremo in futuro. Può darsi che progredendo nella lettura scopriamo che in effetti non è poi così astruso - per esempio alcuni capitoli e argomenti ci sono del tutto incomprensibili, mentre altri passaggi ci suonano familiari e pian piano ci aiutano a capire il resto. In questa situazione la lettura ci dà una percezione immediata della novità di ciò che incontriamo, un senso di esplorazione che spesso manca nella nostra quotidianità. La mente può vagare, esplorare, interrogarsi, e scoprire quante cose ci sono da capire, quante cose da conoscere. Può incuriosirsi  e sollecitare la propria attenzione. 
Questa è la parte dell'assunzione del materiale. In che cosa consiste la "ruminazione"? Man mano che si procede, o anche dopo che si è conclusa la lettura, si potrà ripartire, tenendo conto di un quadro complessivo che ci siamo già formati, andando a sbocconcellare e a riprendere a piccole porzioni ciò che già in parte abbiamo grossolanamente iniziato a smozzicare, assaggiare e masticare. Questo è ruminare. Può darsi che non abbiamo affatto bisogno di rileggere dieci volte il primo capitolo, ma piuttosto che ci accorgiamo che sono alcune parole che fanno fatica a entrarci in mente. Può darsi che ci serva un controllo sul vocabolario, oppure che ci chiariamo le idee su un argomento per il quale ci serve una breve introduzione di altro tipo. Se, per esempio, leggiamo un libro di storia della scienza nel quale si parla di Aristotele e Platone come se tutti li conoscessero, può darsi che quello che ci manca sia una lettura anche veloce, per esempio su Wikipedia, su ciò che grosso modo esprime il loro pensiero e la loro storia. Mentre riprendiamo lentamente qualcosa che non è più del tutto nuovo, ma di cui abbiamo già preso di punta alcuni aspetti, può darsi che capiamo da soli e senza troppa difficoltà di che tipo siano le nostre difficoltà
Questo è  proprio ciò che a volte perfino un buon maestro non è in grado di fare al posto nostro. Scoprire le proprie difficoltà fa parte del conoscere se stessi, non soltanto ma anche nell'apprendimento e nell'istruzione.
E' dunque un esercizio di valore, importante, un aspetto non indifferente dell'interesse che si può provare per lo studio, l'istruzione, l'informazione. Alla domanda "che cosa c'è da capire?" si accompagna dunque quella su "che cosa c'è che non capisco?" e questo è un passaggio non indifferente per un miglioramento di qualche genere. 
Ecco, dunque, il senso dell'esercizio nel "ruminare" come atteggiamento pratico nell'apprendere: si tratta di ri-tornare via via sulla materia, ricorsivamente, a velocità e quantità variabili, dandoci la possibilità di saggiare e tarare il nostro passo. Si tratta di darci la possibilità di apprezzare sia la rapidità sia la lentezza, senza sceglierne a priori una ad esclusione dell'altra. La giusta misura può essere a volte quella del piccolo, a volte quella del grande; può essere quella fatta per la velocità, o, altre volte, per la lentezza. Correre avanti e basta può essere arrischiato: correre avanti per ritornare piano piano sui propri passi può essere l'approccio giusto per aiutarci a tarare il nostro passo, soprattutto quanto il nostro viaggio non consiste principalmente nel seguire una guida esperta, ma è una esplorazione un po' più solitaria, oppure in un gruppo di inesperti di pari livello. Siamo dunque affamati, follemente; ma, per digerire, mai dimenticare l'importanza, all'occasione, di saper ruminare.

mercoledì 4 aprile 2012

Imparare senza andare a scuola: l'autonomia è quello che fa per te?

Apprendimento a distanza, imparare da autodidatta, studio e ricerca personale... E' questo lo "stile" per imparare che fa per te? Chiunque tra noi è per la maggior parte abituato a qualcosa di molto diverso: scuola, istruzione istituzionale, obbligo formativo, insegnamento in aula e così via.
La "fatica" dell'aula, degli impegni fissi (inclusi il tempo da dedicare e il denaro da spendere), delle scadenze da rispettare etc. contribuiscono a dare l'idea della difficoltà e della mediamente scarsa accessibilità ad una istruzione di alto valore. Non smettere mai di imparare diventerebbe, se vista solo così, una sfida molto difficile.
Una cosa che mi chiedo, però, è per chi è adatto un modello di apprendimento di un certo tipo oppure di un altro tipo: tra un modello che potremmo chiamare "tradizionale" e uno che potremmo chiamare "personalizzato", per esempio, si può dire che uno sia preferibile all'altro, o almeno che uno sia preferibile o più adatto a seconda delle proprie inclinazioni e caratteristiche?
Penso che la cosa importante da pensare sia proprio questa: che tipo di atteggiamento comporta la scelta di un modello invece che di un altro, quando si desidera imparare qualcosa?
Non appena in un blog che, come questo, ospita anche delle inserzioni pubblicitarie automatiche, si comincia a parlare di istruzione, di corsi, di apprendimento etc., ecco che compaiono tanti annunci di corsi a distanza, di corsi privati di recupero, corsi serali etc. Una delle domande che sorgono è a che cosa servano e se servano questo tipo di corsi. Io penso che possano servire: penso che, diversamente da ciò che promettono, non possano essere la soluzione per tutti i problemi scolastici di chiunque, ma che, tuttavia, per alcune specifiche situazioni possano essere d'aiuto e, perché no, possano anche dare il contributo decisivo per portare a termine un progetto. Questo però non dipende solo (anche, ovviamente, e non è da poco: ma non solo) dalla serietà della scuola e degli insegnanti, ma anche dalla situazione e dalle caratteristiche specifiche della persona interessata.
Ecco uno spunto di riflessione dal sito di Scott Young, che leggo sempre con grande interesse, e che spesso trovo "sintonizzzato" sui miei stessi interessi:


Scott risponde alle obiezioni più frequenti contro l'apprendimento non convenzionale fuori da una apposita istituzione scolastica. Direi che dal suo articolo si ricavano moltissime idee, ma una che ora mi interessa sottolineare è proprio quella di cui ho fatto cenno: l'istruzione senza scuola ha molti vantaggi, ma bisogna capire se si è nella situazione e dotati di caratteristiche tali da poterne trarre beneficio; in altre parole, non è per tutti, nè per chiunque. Non si può intendere come un modello chiamato a sostituire quello tradizionale: è qualcosa di diverso e qualcosa in più, non una nuova versione della stessa cosa. Promette, in ogni caso, di essere importante e interessante. Vale la pena dedicare qualche lettura come quella di Scott. http://normanpress.blogspot.it/2012/03/non-smettere-mai-di-imparare-ho.html Comunque la si pensi, è un ottimo spunto per ragionare e fare le proprie scelte.

venerdì 30 marzo 2012

mini-tutorial senza immagini: la tua lista in Facebook


A proposito di (piccole) cose nuove da imparare: vuoi creare una lista nel tuo account Facebook? 
A che cosa serve? Si tratta di una classificazione dei contatti ("amici"): nell'elenco dei tuoi amici in Facebook, come avrai notato, si possono indicare le persone che si vogliono inserire in liste predefinite, come quella degli "amici più stretti" o dei "familiari" o "conoscenti". 
Tu però puoi scegliere sia di non inserire nessuna persona in nessuna lista, sia di creare delle liste nuove personalizzate nelle quali inserire chi vuoi. 
Una volta che hai inserito dei contatti in una lista, tu potrai scegliere di leggere le notizie che riguardano solo quelle persone, oppure di rendere visibili alcuni contenuti della tua bacheca solo a quelle persone etc. Queste almeno sono le caratteristiche che trovo più interessanti tra quelle offerte dalla lista. 
Una persona può essere aggiunta ad una lista sia dopo che è stata accettata l'amicizia, sia ancora prima, al momento in cui si invia la richiesta. Come prima cosa vediamo qui, però, come creare una nuova lista personale e come inserire (aggiungere) dei contatti alla lista. Vediamolo passo passo, ma se vuoi farlo subito segui i link della scorciatoia. 

Scorciatoia!

Velocissimo: 

   A)  se non l'hai già fatto, accedi al tuo account Facebook; (puoi fare click qui subito e inserire i tuoi soliti dati;

   B)  fai click qui su questo link: http://www.facebook.com/bookmarks/lists: si apre la schermata con le liste predefinite di Amici; 

    C) clicca "+ Crea una lista" nella parte centrale della pagina, in alto, e segui le istruzioni! (vedi punti 3 e seguenti dell'elenco qui sotto).

  1. Entra in Facebook, accedendo come al solito. Se ti trovi sul tuo profilo, o sul profilo di un amico, o su una qualunque pagina, seleziona il tasto in alto a destra con la scritta "home": devi selezionare "home" per trovarti sulla pagina iniziale. La pagina iniziale infatti somiglia molto a quella del tuo profilo, ma non è la stessa cosa.
  2.  Una volta che sei sulla tua schermata "home" nella colonna a sinistra, sotto la tua immagine e il nome del tuo profilo, trovi un elenco di vari oggetti (preferiti, gruppi, applicazioni etc.). Seleziona la voce "Amici". Nella sezione "Amici" della colonna a sinistra vedi già un elenco delle liste predefinite (familiari, conoscenti, amici più stretti). Facendo click su "Amici" la schermata si modifica e nella parte centrale della pagina, in cui si visualizzavano le notizie e i post recenti, vedi ingrandito il dettaglio delle liste predefinite - oppure fai copia-incolla di questa stringa http://www.facebook.com/bookmarks/lists nella casella dell'indirizzo del browser, per accedere direttamente alla schermata delle liste di amici;
  3.  Ora nella parte centrale della pagina (http://www.facebook.com/bookmarks/lists) leggi "Amici" e un po' più a destra, sempre in alto, il tasto " + Crea una lista"; fai "click";
  4.  si apre una finestra più piccola pop-up al centro della pagina, "Crea una nuova lista": nella prima casella "List Name" devi posizionare il cursore e scrivere il nome che vuoi dare alla lista (per es. "abc", "amici del calcetto", "quelli della pizza" etc.);
  5.  nella seconda casella, "Membri", compare la domanda "Who would you like to add to this list?": posiziona il cursore e inizia a scrivere un nome di un amico che vuoi inserire (puoi provare anche con il tuo); un menù a tendina ti mostra man mano gli amici che hanno il nome che contiene le lettere che stai digitando, seleziona l'amico che vuoi inserire direttamente dall'elenco, oppure finisci di scrivere il nome intero corretto e premi invio - il nome dell'amico compare nella casella, su uno sfondo azzurrino, con una "x" di fianco per poterlo velocemente rimuovere dalla lista se si cambia idea.
  6.  Continua a inserire altri nomi, sempre digitando l'inizio del nome e selezionando le persone che cerchi.
  7.  Quando la lista è completa con i nomi che ti interessano conferma con il tasto "Crea" che compare in basso nella finestrella pop-up;
  8.  Dopo un momento o un istante di caricamento dei nuovi dati, appare la schermata della tua nuova lista: il nome della lista è nella parte centrale in alto (per es. "abc", "quelli della pizza"  etc.); si leggono sotto solo le notizie e i post delle persone che sono nella lista. Nella colonna a destra leggi quali e quante persone sono nella lista; sotto appare un elenco di suggerimenti di persone da aggiungere. Nella casella con il "+" puoi in qualunque momento scrivere un nuovo nome da aggiungere immediatamente nella lista. Con il tasto blu "Gestisci lista" puoi rinominare, modificare o cancellare la lista.
  9.  Per passare da una lista all'altra selezioni il nome di quella che ti interessa nella colonna a sinistra, sempre nell'elenco sotto la voce "Amici". Se non vedi il nome di una lista che ti interessa, estendi l'elenco facendo clik su "Altro" che appare in blu e in piccolo di fianco a "Amici" quando passi vicino il cursore.
  10.  Puoi aggiungere una persona a una lista sia come visto qui, gestendo la lista dalla tua home page, sia, invece, dalla pagina del suo profilo: sia che siate già amici, sia che tu stia chiedendo l'amicizia, il tasto in alto a destra con la scritta "Amici" oppure con la scritta "+1 Aggiungi agli amici" oppure "+1 richiesta di amicizia inviata", premendo il tasto visualizza il menù a tendina corrispondente e seleziona direttamente la lista in cui inserire l'amico/il nuovo amico. 
Velocissimo: 
Accedi al tuo account Facebook; 
 fai click qui su questo link: http://www.facebook.com/bookmarks/lists : si apre la schermata con le liste predefinite di Amici; 
 clicca "+ Crea una lista" nella parte centrale della pagina, in alto, e segui le istruzioni! (vedi punti 3 e seguenti dell'elenco qui sopra).


lunedì 26 marzo 2012

Buono a sapersi...

 

http://www.vitaforense.com/



"RefLex" è il sito-blog di Silvia Surano che ho appena scoperto e che ho avuto voglia di condividere immediatamente.
Silvia si occupa di diritto, ma non è stato questo a colpire la mia attenzione. Ciò che mi è piaciuto è lo spirito con cui presenta il proprio blog, qualcosa da vivere e da condividere, con un tratto genuinamente creativo. Sento qualcosa di buono nel desiderio di dare espressione ad un impulso di novità, al guizzo di un'idea, che cerca la forma attraverso cui raggiungere gli altri, incontrarli.
Di se stessa dice "amo il gioco di squadra e non so stare lontana dalle nuove iniziative" - e si vede.
C'è qualcosa dell'"idear facendo" nel carattere necessariamente "work in progress" di un lavoro di questo tipo: qualunque blogger lo sa bene. Ma Silvia mostra il desiderio - la necessità, forse - di fare questo non come fine a se stesso o come comunicazione di qualcosa che nasce già finito nell'esperienza quotidiana, bensì come un tassello vivo di quella stessa esperienza: come se dicesse, in questo, di sentire che non può essere un buon avvocato, una professionista soddisfatta, se non dando voce a ciò che sente, con il mezzo più controverso, affascinante e, nella sua apparente facilità, difficile invece per comunicare: il web. In bocca al lupo Silvia, e grazie per il tuo lavoro, che continueremo a seguire.


conosci Silvia e il suo lavoro:
http://www.vitaforense.com/su-di-me/

venerdì 16 marzo 2012

Non smettere mai di imparare: ho conosciuto qualcuno che lo sapeva bene...

Se avessi libero accesso a qualunque tipo di istruzione, che cosa ti tratterrebbe dall'imparare? Ce lo siamo chiesti, ed ecco alcuni temi che mi erano venuti in mente leggendo l'ultimo articolo di Scott H. Young;

  1. istruzione gratuita
  2. tempo e risorse
  3. ricchezza del sapere
  4. motivazione
  5. apprendimento e miglioramento
  6. studio e scienza


Vorrei riprenderli uno per uno - però non subito. Comincerò questa volta con un semplice ritratto, di una persona che ho avuto la fortuna di conoscere e che sapeva che cosa significassero queste idee.  Era mio zio - o, per essere più precisi, lo zio di mia madre.
Tanti anni fa, assai prossimo al termine della sua vita su questa terra, lo sentii dire che, se fosse tornato indietro, avrebbe voluto soprattutto dedicarsi di più allo studio e ad imparare il più possibile dalla scuola e da qualunque situazione in cui si fosse trovato ad averne occasione. Io non glielo dissi, allora, e tuttavia pensai che l'aveva già fatto
Non so di preciso quali scuole avesse frequentato e che cosa avesse studiato - forse le scuole medie, forse le superiori - ma si trattava di una persona che rappresentava in tutto l'amore per il sapere e per lo studio, in ogni situazione in cui  avesse occasione di imparare. Aveva fatto studiare i propri figli, insistendo perché frequentassero e completassero gli studi universitari. Non ha mai smesso di incoraggiare e di ascoltare con autentica curiosità e attenzione le notizie sulla scuola, le università, gli studi in genere di tutti i nipoti, di prima e di seconda generazione. Pur rimanendo sempre semplice e "alla buona" in tanti aspetti materiali della vita quotidiana, dal vestire alla casa alla macchina, coltivava da sempre l'attenzione per la parola, per la correttezza, l'espressività e anche in un certo senso la ricerca del linguaggio. 
Aveva un talento innato per giocare con i significati dei termini, con i nomi delle persone, e per inventare nomi nuovi per le persone e le cose. Si appassionava per la soluzione di problemi pratici, come un guasto da riparare o un lavoro da finire. Leggeva. Frequentava i corsi dell'Università popolare e si dedicava con passione al servizio sociale, come volontario alla guida di autoambulanze. 
Negli ultimi anni aveva studiato Shiatsu, cominciando ad esercitare con successo piccole sedute di assistenza per amici e parenti. Amante della scienza, della tecnica, della matematica, nonché della musica, soprattutto negli ultimi anni si era avvicinato più che mai alla spiritualità, interrogandosi con meraviglia e interesse appassionato sul mistero della vita, del vivere e del morire, e di ciò che attenda o meno ciascuno di noi nell'"aldilà". 
Mi piace pensare che ascolti e sbirci queste parole, con il sorriso ironico che gli si accendeva spesso sul volto, lo sguardo misto di intelligenza, scaltrezza e un'astuta benevolenza, temperata dall'arguzia disincantata dello "spirito libero" che lo accompagnava.
Credo che avesse studiato più di molti studenti a tempo pieno che frequentano corsi universitari e master. Non tanto per la gamma di nozioni acquisite, quanto soprattutto per la capacità, in parte forse innata, ma in parte maggiore sviluppata con l'esercizio della pratica nell'atteggiamento quotidiano, di dare valore al sapere mettendolo in gioco in una rete di collegamenti, rimandi, in modo che ogni cosa imparata si intrecciasse con le altre, non lasciando le cose apprese abbandonate come nozioni isolate, ma combinandole in modo che da due nozioni ne risultasse una terza, forse proprio quella mancante per arrivare ad un quarto aspetto. Metteva in gioco questo modo di essere nelle cose più semplici, come nella conversazione, negli incontri quotidiani con le persone.
Del resto, forse proprio in accordo con ciò che esprime la famosa massima socratica, che l'unica cosa che si possa sapere è di non sapere, tutto questo studio non lo faceva sentire mai "arrivato": tutt'altro. Più studiava, e più gli veniva voglia di sapere nuove cose; più sapeva, e più avrebbe voluto essere certo di non aver sprecato un solo momento, una sola occasione. 
Così avrebbe fatto troppe volte, a suo dire, prima, quando era "obbligato" a studiare e forse aveva recalcitrato un po'. Io però continuo a pensare che se anche ciò fosse vero - e non ci scommetterei - avesse ben presto rimediato all'errore, e progredito ampiamente ben oltre quelli che aveva creduto esempi migliori di lui.  Ho sempre pensato, e penso, che il tempo, in questo senso, lui non l'abbia sprecato mai.

lunedì 5 marzo 2012

letture da ripensare:

"If education were to become free and less time consuming, what would stop you from learning?" - Scott H. Young (link)
"Se l'istruzione diventasse gratuita e richiedesse meno dispendio di tempo, che cosa ti tratterrebbe dall'imparare?". Spunti di riflessione: ci penserò e mi piacerebbe che lo facessimo in tanti. Istruzione gratuita; tempo e risorse; ricchezza del sapere; motivazione; apprendimento e miglioramento; studio e scienza - in una sola frase sono già come minimo questi sei i temi non trascurabili.
Ci ritornerò. Ma intanto suggerisco la lettura e il video di Scott: http://www.scotthyoung.com/blog/2012/03/04/learn-faster-without-college/