venerdì 21 maggio 2010

Perdere tempo/spendere tempo? E poi?


[...] The danger of this approach, however, is it forces you to think of every activity you do in terms of impact on your work. Instead of just enjoying spare time, you analyze it obsessively, constantly asking yourself whether its valuable enough to justify the time spent. [...] - http://www.scotthyoung.com/blog/2010/05/14/waste-time/
[...] Il pericolo di questo approccio, tuttavia, è che ti costringe a pensare ad ogni attività che fai in termini di impatto sul tuo lavoro. Invece di goderti semplicemente il tempo libero, lo analizzi ossessivamente, chiedendoti constantemente se valga abbastanza da giustificare il tempo che ci spendi [...]


Should I waste more time – dovrei perdere più tempo?
Ho scritto recentemente un piccolo intervento ponendo una domanda provocatoria: sai perdere tempo?
Noto quello che chiamerei una parabola del cambiamento: si innesca da una situazione iniziale più o meno stabile avvertita come negativa; muove verso un obiettivo delineato, e man mano lo realizza, raggiungendo un picco di positività; quindi, quando diresti che si stia stabilizzando l'obiettivo, i suoi risultati declinano. Nei casi più banali, semplicemente l'abitudine non attecchisce, e si ritorna indietro al punto di prima: più che di una parabola, si tratta proprio di tornare al punto di partenza.
Ma in altri casi il progetto riesce benissimo – e questo è già una buona cosa, non metto in dubbio – però non soddisfa come ci si sarebbe aspettati. In pratica, i risultati rimangono quelli raggiunti, ma il grado di apprezzamento cala, al punto da farci tornare in uno stato di insoddisfazione pari a quello iniziale.
Questo può lasciare molto perplessi.
Dopo aver notato queste dinamiche in forma attenuata nelle mie modeste esperienze personali, le osservo ritrovandole in alcune testimonianze di qualcuno che in modo più sistematico se ne è posto da tempo il problema.

Leo Babauta è, come spesso si nota, un passo avanti a tutti. Osserva: mentre tu constati un suo successo, lui è già oltre. Se oggi ammiri il lavoro che ha fatto con Zen Habits, vedi che mentre di settimana in settimana continua a mantenerne gli standard eccellenti raggiunti, la sua attenzione e il suo entusiasmo creativo si sono già mossi verso novità come i bootcamps di A-list blog, in collaborazione con Mary Jaksch. E quando la maggior parte dei suoi ammiratori e lettori avrà apprezzato questo nuovo aspetto, la sua passione creativa li porterà già a vedere un aspetto ulteriore.
Questa dev'essere, mi dico, l'arte del vivere Zen, e credo che sarebbe tempo perso il mio (e il tuo!) se continuassi ad analizzarlo: va vissuto, punto.

Scott H Young ha un approccio più “tradizionale” e western style. Ben vengano i nuovi progetti, ma la ricerca è quella di una linea di stabilità, qualcosa che fissi man mano i risultati raggiunti.
In lui la parabola del cambiamento è più visibile.
Scott la gestisce con destrezza, e, pare, con un buon mix di analisi e intuito; però ne constata via via la dinamica quasi con sorpresa – segno, forse, che c'è “qualcosa che non gli torna”, tutt'ora, nel processo di miglioramento. Come dargli torto!!
In fondo questi segni critici sono confortanti, anche perché non si tratta di disillusioni, ma di spunti e incentivi per continuare.
Leggendo il suo ultimo post, con il passo che citavo, [...] The danger of this approach, however, is it forces you to think of every activity you do in terms of impact on your work. Instead of just enjoying spare time, you analyze it obsessively, constantly asking yourself whether its valuable enough to justify the time spent. [...] [...] Il pericolo di questo approccio, comunque, è che ti costringe a pensare ad ogni attività che fai in termini di impatto sul tuo lavoro. Invece di goderti semplicemente il tempo libero, lo analizzi ossessivamente, chiedendoti constantemente se abbia un valore sufficiente per giustificare il tempo speso[...], mi venivano in mente proprio queste considerazioni.

Il rischio, insomma, è quello di incorrere nella sensazione che le cose “valgano meno di quello che costano” - questa è una considerazione o meglio una sensazione acutamente pessimista che mi travolge o comunque mi scuote di tanto in tanto: piano piano, scivolo nella sensazione amara e appiccicosa, dura a scrollarmi di dosso, che, in modo totalmente generalizzato, la vita valga meno di quello che costa. Lo confesso, è devastante, e mi prende piuttosto spesso – a volte mi fa sospettare che sia come una sensazione di fondo!

Io non credo che la vita valga, mai, meno di quello che costa. Credo che sia in effetti inestimabile, e che dunque valga qualunque prezzo. Però penso che sia anche una nostra responsabilità quanto la facciamo rendere, quanto di quell'inestimabile valore potenziale permettiamo che si realizzi. Dunque, in assoluto, la vita vale sempre più di quel che costa – ma, nella realizzazione pratica, spesso siamo noi a vivere una vita che non vale i suoi costi.
La cattiva notizia, insomma, è che nulla va da sé. E questo tutto sommato siamo abituati a crederlo. La buona notizia, e su questo val la pena lavorare, è che molto dipende da noi, sta a noi “far valere”, “dar valore” alla vita che viviamo.
Penso alle scritture della tradizione cristiana, all'esortazione molto bella ad essere “il sale della terra”. “E se il sale perde il suo sapore, chi glielo ridarà?”. Il sale non perde il suo sapore. Ma a volte perdiamo il senso del gusto, o ne siamo assuefatti. Allora bisogna ricordarsi dei buoni sapori, del buon valore della vita.

Anche su un piano più da "piedi per terra", come quello della gestione economica del denaro, il problema rilevato da Scott è secondo me ben applicabile. Ci preoccupiamo che qualcosa costi più di quel che vale – e man mano che, prudentemente e ben facendo, ci abituiamo a regolare la nostra gestione facendo attenzione a pagare il giusto per un valore corrispondente, buon principio per una spesa oculata, succede che possiamo degenerare e arrivare a vedere tutto in termini di spesa monetaria: “quanto mi vale questo?” “vale quel che costa?” - questo approccio molto pratico secondo me va benissimo, per esempio quando si comparano due tipi di spesa: è meglio spendere X per un comune capo di vestiario, o 100X per un capo firmato? Dipende, dal valore che vi si connette. Se è una questione di coprirsi efficientemente, è un conto; se è una questione di immagine, o di status, può darsi che sia meglio spendere di più... Quello da mettere a fuoco è l'aspettativa di valori: stai pagando per qualcosa che vuoi, o stai pagando qualcosa che magari altri vorrebbero, ma che a te non interessano, o interessano meno di altro?

Dunque, trattandosi di destinazione di una somma di denaro, è utile chiedersi se convenga la cena o la spesa al supermercato, l'affitto o la vacanza, l'auto o il pullman o il guardaroba... Ma che dire quando si tratta di cose non suscettibili di una valutazione comparativa? E' meglio un pomeriggio con la persona amata, o un pomeriggio in palestra? E' meglio una riunione di lavoro, o andare a trovare un familiare? E' meglio correre o andare al cinema etc.
Qui non prevale la comparazione di costi economici. Così come non prevale la comparazione del risparmio di tempo. Qui si tratta di godersi la vita – mica una sfida da poco. E non c'entra con la produttività fordista o post-fordista.

Che fare allora? “Godersi la vita”. Qualche anno fa, se ci penso, proprio da qui avevo cominciato!
Il risultato è che ho investito capacità e tempo per... liberarmi tempo e procurarmi risorse economiche. Finché non l'ho fatto... be', ero sempre ai blocchi di partenza, non facevo niente! Dunque credo che sia stata una buona cosa.

E poi – e ora?
Ora” è sempre la nostra questione cruciale. E la viviamo al presente, non c'è dubbio. Cercando di tenere il più possibile la nostra mente nel presente, vicino al nostro cuore, il cui battito è presente sempre, conosce il ritmo, ma del tempo che passa se ne infischia.
“Ora” scegliamo, compariamo, diamo valore, tratteniamo o lasciamo andare – viviamo, costruiamo, distruggiamo, scriviamo il passato del nostro futuro, le storie che ci scambiamo e raccontiamo vicendevolmente vivendo.
E la chiave del sapore della vita, del valore di ciò che viviamo, quel valore che vale e supera ogni costo, quella ricchezza (!) ha proprio a che vedere con la sfida quotidiana ed eterna del gusto della vita. Gustare, godere la vita. Insaporita di noi, sale del mondo.
Be' – mica uno scherzo, sono d'accordo. Che dite, ne vale la pena? Per me sì – così, oggi, domani, ieri e sempre: sì.

Nessun commento:

Posta un commento